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La prima impastatrice che la pluripremiata patissière ha utilizzato apparteneva a sua nonna. È stata anche lei ad affascinare Edvige Simoncelli con le sue abilità culinarie. Un entusiasmante apprendistato ha portato l'appassionata di dolci da Merano a Roma, passando per Barcellona e tornando a Roma. Oggi crea delicate opere d'arte nel ristorante Core di Merano, a conduzione familiare. Anche per chi non tollera gli ingredienti convenzionali dei dessert.


Edvige Simoncelli, lei è cresciuta tra i fornelli della sua famiglia. Quindi c'è stato un inizio precoce, familiare, direttamente nella sua vocazione e professione?

La cucina mi ha sempre affascinata, mi piace mangiare bene e la convivialità a tavola, mia nonna ci ha sempre riuniti grazie alla sua cucina. Di lei mi ha sempre affascinato il suo approccio alla cucina. Era casalinga ma molto metodica, professionale. Mi piaceva preparare torte di compleanno, una maniera per dimostrare il mio amore a chi tenevo, amici e parenti. Ho iniziato a cercare corsi di pasticceria da frequentare per rinforzare le mie basi. Alla fine ho trovato un’accademia a Roma ed era perfetto, perché sapevo che prima o poi avrei provato a trasferirmi nella Capitale.
Perché ha scelto il dolce e non il salato?

Scelsi il dolce quando, frequentando le lezioni di cucina all’alberghiero, mi accorsi che avevo dei limiti, nel senso che non mangiavo tutto, tipo foie gras o la carne grassa. Per me ci possono essere delle preferenze ma uno chef dovrebbe trattare e mangiare tutto, ho pensato che dei dolci mi piace tutto anzi li preferisco al salato, quindi ho fatto la mia scelta.


Sei anni fá ha iniziato a lavorare all'Imago dell'hotel Hassler di Roma. Mi ha raccontato che era la pura felicità a livello privato e professionale e che le ha cambiato la vita. Perché?

È stata un'esperienza dura per i ritmi di lavoro e la pressione ma stupenda dal punto di vista di conoscenze. La brigata più speciale che abbia mai visto e sono contenta di averne fatto parte. Ho conosciuto persone che tutt’ora fanno parte della mia vita come Adriano, il mio compagno. Amici che porterò sempre nel mio cuore, una su tutti si chiama Selene che fece quest’esperienza in pasticceria con me, ed è tuttora la mia amica del cuore. A livello lavorativo sono fortunata ad aver iniziato in una struttura del genere, uno degli alberghi piu storici di Roma, con all’interno un ristorante stellato come Imago. Ho appreso molto all’ Hassler e a Imago … mi sono divertita tantissimo.


E poi, Barcellona! All'Alchimia di Jordi Vilà con una cucina stellata con piatti tradizionali della Catalogna. Quali sono state le grandi sfide?

A Barcellona ho ammirato molto il loro modo di riuscire a fare ristorazione gourmet e non solo, il servizio è molto più informale e dinamico ma allo stesso tempo rimane molto professionale e soprattutto divertente e votato all’intrattenimento dell’ospite. Per esempio nel ristorante Alchimia nella stessa cucina e nella stessa sala, si effettuano due servizi diversi. Il commensale può decidere se mangiare il menù gourmet stellato oppure il menù di cucina tradizionale catalana. La grande sfida, oltre alla barriera linguistica – perché in cucina si parlava catalano – è stata apprendere il loro metodo di lavoro molto meticoloso. Il lavoro era dettato da ritmi ben precisi, si parlava poco fra colleghi e si scherzava ancora meno, io ero abituata a lavorare bene ma alleggerire con qualche risata. È stato difficile entrare in quella mentalità, ma alla fine ho capito e ho apprezzato in parte il loro metodo. Menzione speciale va ad Aya, la pasticciera giapponese con cui ho lavorato da Alchimia e da quale ho imparato il rispetto della materia prima, la complessità della semplicità, la precisione e l’equilibrio perfetto di sapori e ingredienti.
Dopo Barcellona – di nuovo a Roma …

Decidemmo entrambi di tornare a Roma anche per via del nuovo progetto dello chef Francesco Apreda, che stava per fare una nuova apertura e trasferirsi in un albergo nel centro storico di Roma, dietro al Pantheon. Avremmo ritrovato molti colleghi e condiviso questa nuova esperienza. Io divenni la Pastry chef, gestivo la pasticceria di tutto l’albergo, del ristorante fine dining e del secondo ristorante in terrazza con vista sui tetti della città, sul Pantheon e sulla Basilica di Sant’ Eustachio, dove la cucina aveva un format conviviale in cui tutti i piatti venivano messi al centro del tavolo e condivisi. Lo chef Francesco Apreda, avendo fatto esperienze anche in Oriente, aveva fatto mettere un forno tandoori in cui venivano cotti deliziosi e svariati spiedi. Ultimo, ma non per importanza, il ristorante gourmet che ricevette la stella Michelin, Idylio. Fu molto impegnativo e nuovo per me, ma ricevetti molte soddisfazioni come per esempio ricevere il premio del Gambero Rosso come Pastry chef of the year 2020. Tutto ciò fu interrotto bruscamente dal Covid.


Lei ha collaborato anche con Amici-onlus, un'associazione che si occupa principalmente di persone affette da malattie intestinali. È possibile creare consapevolmente dolci la cui materia prima è ridotta dal punto di vista dei danni (grassi, zuccheri raffinati, ecc.). A cosa bisogna fare attenzione?

L'esperienza con Amici onlus è stata molto formativa e mi ha aperto un mondo. Li ho conosciuti grazie ad un bellissimo evento da loro organizzato nel 2018 in Sicilia, dove erano state invitate a partecipare chef donne Antonella Ricci, Marianna Vitale, Martina Caruso, Iside de Cesare … Poi, durante il covid, il presidente dell' EFCAA (European Federation of Crohn's and Ulcerative Colitis Associations) Salvo Leone mi contatto per un progetto in collaborazione con Nestlé, che consisteva nella realizzazione di un dolce per Natale che doveva rispettare le restrizioni che impone la dieta per chi è affetto da malattia di Crohn. Una sfida dato che non si possono usare ingredienti contenenti glutine, lattosio e molto altro, farei prima ad elencare quelli permessi. Inoltre anche le cotture sono importanti. Sono consigliate cotture non invasive o intense. Non si possono usare ingredienti contenenti additivi, non si possono usare prodotti raffinati ma nemmeno troppo integrali. Inoltre la dieta non può essere universale ma è soggettiva e scandita da fasi più e meno acute. Ma in tutto questo è importante riuscire ad ottenere un risultato appetibile e bello da presentare, perché lo scopo di questi progetti è l'inclusività: festeggiare una festa come il Natale in compagnia, magari con un dolce che possa piacere a tutta la famiglia. Dopo questo primo progetto ne susseguirono altri più nello specifico con Nestlé che mi ha chiesto di realizzare ricette con all'interno il loro integratore alimentare Modulen. Sfida ancora più grande. Vorrei continuare ad approfondire gli studi e sperimentare per trovare delle ricette facili da realizzare a casa per chi deve ogni giorno affrontare queste difficoltà. Inoltre mi piacerebbe realizzare dei menu nel mio ristorante rivolti a chi soffre di malattie infiammatorie intestinali.
Oggi, il suo cuore batte per il Core?

Qui a Merano, vicino alla mia famiglia, ci siamo innamorati del nostro locale, una location unica, dove è nata Core Osteria. Cucina “de core”, con una matrice romana e piatti di tradizione italiana ma anche creativi in base alla stagionalità degli ingredienti. Abbiamo un menù alla carta e offriamo ogni giorno dei fuori menu. C’è una ricerca continua di materie prime locali e nazionali di qualità e l’utilizzo di presidi slow food, un progetto quello della slow food che stimiamo molto, perché per noi è la giusta strada da percorrere. I dolci sono tutti fatti in casa da me, la carta dei dolci segue la linea della cucina, scelta accurata degli ingredienti, lavorazione quotidiana, combinazione tra tradizione e creatività. E un progetto in cui vogliamo esprimerci applicando le tecniche e le conoscenze apprese dalle nostre esperienze, rendendolo accessibile a tutti. Usare prodotti etici, conoscere i produttori. Non stravolgere troppo la materia prima, lavorandola poco o provando a esaltarla. Vogliamo divertirci, imparare, accogliere e soprattutto far stare bene i nostri clienti.

 
Settembre 2023