I Bambini di Svevia è un romanzo sui cosiddetti bambini svevi, che per 300 anni, fino alla fine della guerra, furono mandati dalla Val Venosta, dal Tirolo, dal Vorarlberg, dal Liechtenstein e dalla Svizzera a lavorare nell'Alta Svevia. Un capitolo particolarmente toccante della storia altoatesina. Cosa è l’attualità secondo Lei in questo romanzo?
La protagonista, Edna, è un’anziana donna che nasconde un segreto. Ha condotto una vita ritirata, celando dentro di sé l’orrore, fino a quando un caso della vita la rimette sullo stesso sentiero che da bambina l’aveva portata in una fattoria in Svevia, a cui appartengono i suoi ricordi più dolorosi. È una sorta di romanzo di formazione al contrario, dove dobbiamo spogliarci di strati di paura, pregiudizi, rimorsi e sensi di colpa, levandoceli di dosso a uno a uno come vesti, per ritrovare veramente noi stessi: non perfetti, non privi di colpe, ma riconoscerci nella versione più autentica di noi. Non c’è un’età per farlo, un’età impostata per ribellarci ed essere come vogliamo. Non è mai troppo tardi, però, per riprendere gli scarponi e uscire dalla nostra zona di comfort, per tornare indietro o fare un balzo in avanti e arrivare nell’esatto punto in cui avremmo sempre voluto essere.
Ma in generale, per quanto si possa andare indietro nella storia, ogni suo romanzo non è a suo modo attuale - o almeno senza tempo? E perché è così?
Tutto quello che ci ha preceduto, tutte le scelte compiute da altri, sono l’humus nel quale affondano le nostre radici. Per questo credo sia importante conoscere ciò che è stato. Non so se la Storia insegni davvero qualcosa – la guerra in Ucraina ne è un terribile esempio, così come lo fu quella dei Balcani che sconvolse l’Europa a pochi decenni dall’orrore dei campi di concentramento. Credo però che mancherebbe qualcosa se non ne avessimo consapevolezza.
I bambini di Svevia è stato tradotto in francese e in arabo. Quanto è diversa la ricezione nei vari paesi del suo romanzo, che ha avuto un grande successo in Italia?
È molto interessante vedere come una storia possa arrivare in modi differenti a lettori differenti. Ogni edizione ha preso un colore, una suggestione del romanzo, e l’ha fatta propria. Di fatto è un libro che ha due anime che si combinano tra loro, il presente e il passato, il rimorso e la speranza, l’orrore e la capacità di commuoversi ancora e di ridere senza dimenticare la sofferenza passata. Il dolore rende molto più dolce e più coraggioso il nostro sorridere dei guai che ci capitano. Ogni editore ha evidenziato un aspetto nella scelta della copertina, nella comunicazione con i lettori.
E a Merano, come vive?
Abito in una zona ancora molto verde di Merano, a un passo dalle giardinerie di Lagundo e dalle Tappeiner. Il nostro panorama con i castelli, i vigneti, le montagne che fanno da sfondo e ci proteggono, è unico al mondo. È la mia casa e non potrei mai farne a meno. È che mi rifugio sempre quando ho bisogno della Natura e del suo silenzio.
Ha dei luoghi preferiti nella città? O quelli che vi hanno già ispirato a raccontare altre storie?
Ogni pietra di questa città, ogni giardino nascosto, ogni cortile sono un’ispirazione. C’è un luogo di cui vorrei parlare, ma è una storia molto difficile.
Amo l’estate meranese, le passeggiate che offrono sempre scorci molto poetici, sentirsi turisti nella propria città e vederla con occhi diversi. Amo la Merano degli artisti di strada, dei suoi musicisti. Credo che, soprattutto in anni passati, abbia dato i natali a circoli culturali molto vivi. Il covid ha segnato una brusca rottura, ma penso che tutti abbiamo voglia di tornare a ricontrarci e di fare arte perché ci siamo resi conto di quanto un libro condiviso, un concerto, uno spettacolo teatrale siano in grado di tenerci in vita e siano indispensabili quanto nutrirsi. La condivisione promossa dall’Arte è un cortocircuito vitale.
E ispirazioni meranesi in concreto?
Credo che stiano emergendo storie molto interessanti grazie all’iniziativa di persone che le stanno recuperando e accogliendo. Nell’ultimo romanzo, L’eredità di Villa Freiberg, parto da uno di questi luoghi magici, villa Freischütz, e dalle vite delle persone che la hanno abitata lasciandoci memoria della vita quotidiana, ma anche una collezione d’arte e di mirabilia fuori dal comune. Mi interessano molto le storie delle persone comuni che poi, qui a Merano, non furono mai così comuni.
La città in cambiamento della storia ….
È una città che offre tempi molto distesi e in cui si compenetrano le epoche storiche che più mi incuriosiscono: l’epoca romana, il Medioevo, l’Ottocento per arrivare alla storia contemporanea. Ha una musica tutta sua, che a volte dovrebbe farsi sentire di più, essere più orgogliosa e consapevole di sé stessa.
A cosa sta lavorando attualmente?
A un romanzo per ragazzi a cui mi sto dedicando da un po’ e sono molto emozionata perché nelle prossime fasi lavorerò con un’artista, una disegnatrice. Credo che sia sempre molto stimolante quando le arti parlano tra loro, di solito ne esce fuori sempre qualcosa di diverso da quanto avevi immaginato. È così: la contaminazione porta nuova linfa, nuove prospettive, un altro ritmo, costringendoti a deviare per qualche istante dal tuo.